giovedì, febbraio 07, 2013

Pedalare! (una storia di famiglia)



Quando il nonno e' morto io avevo 8 anni. Di lui ricordo solo che era un uomo alto, magro e silenzioso, ma che mi sorrideva e batteva le mani per farmi ridere.
Sapevo che aveva fatto la guerra, come un po' tutti i nonni della mia generazione, e vagamente sapevo pure che era stato preso prigioniero in Albania e poi era tornato a casa.
Quello che non sapevo era il come.

Ma come spesso accade, davo per scontato che la sua fosse una storia "normale" di guerra - perche' quando sei adolescente non puoi capire che in qualcosa di cosi' terribile come una guerra non ci sono mai delle storie "normali" - e mi riempivo occhi e mente di altre storie, piu' famose, piu' eroiche, piu' drammatiche, piu' importanti. Quelle che, spero, conosciamo un po' tutti perche' celebrate in film, libri e documentari; film come Schindler's List, spettacoli come "Il Sergente nella neve" di Paolini o l'incredibile libro Mattatoio n.5 che mischia lucidamente fantasie fantascientifiche e ricordi autobiografici del bombardamento di Dresda.
Ed e' proprio grazie a quel libro se una sera mentre ne parlo con mio padre, lui mi dice quasi casualmente che la conosce si' la storia del bombardamento di Dresda, dopotutto c'era pure il nonno.

E' cosi che sono venuta a conoscenza della nostra personale storia di guerra.



Il nonno, come sapevo gia', era stato preso prigioniero in Albania dopo che l'Italia aveva rotto l'alleanza con i nazisti e di li' trasportato in uno di quei treni senza finestre su in Germania, prima in campo di prigionia e poi in una sorta di prigione meno severa proprio a Dresda. E li', perche' era pur sempre un soldato italiano - fra l'altro alto, biondo e occhi chiari che da quelle parti non guastavano - avevano deciso di farlo capo reparto in una fabbrica di munizioni in cui lavoravano i prigionieri. Doveva sorvegliare 8 donne ebree e lo pagavo pure un pochino per quel lavoro. Soldi che bastavano a malapena per comprarsi una sigaretta o un po' di cibo di contrabbando, ma che il nonno conservava il piu' possibile.
Perche' lui non voleva sigarette, voleva tornare a casa.
Nella prigione, ovviamente, le notizie della guerra arrivavano filtrate, troppi passaparola le rendevano inattendibili e strane, ma all'inizio del 45 certe notizie sussurrate a mezza bocca si facevano sempre piu' inistenti: i Russi stavano marciando sulla Germania, i nazisti erano ormai alle corde...si' ma che sarebbe successo ai prigionieri allora? I primi di Febbraio la paura e l'incertezza erano ormai ingestibili, si sussurrava anche di bombardamenti alleati su citta' tedesche e l'idea di fare la fine del topo, dopo tutto quello che aveva passato, al nonno, proprio non andava giu'.
Lui voleva tornare a casa, ma per farlo non poteva aspettare un aiuto altrui, doveva agire ed in fretta.
Il resto della storia e' avvolto putroppo nel mito, ma stando alla ricostruzione da parte del babbo un paio di notti prima del 13 febbraio la confusione ormai e' padrona nella prigione e per questo si presenta l'occasione unica per scappare. Il nonno ed un suo amico la prendono - quasi letteralmente - al volo catapultandosi al di la' del muro di guardia e correndo a piu' non posso nella notte. Passano i primi giorni nascosti di giorno ed in cammino di notte per mettere piu' chilometri possibili tra loro e la prigione, almeno fino a quella fatidica notte tra il 13 ed il 14 febbraio. Quando le sirene antiaeree cominciano a suonare e i rombi dei motori dei bombardieri RAF iniziano a riempire il cielo il nonno realizza quello che probabilmente sapeva gia':
a casa, se voleva tornarci, doveva falo da solo.

Ed il giorno dopo con quei soldi faticosamente guadagnati acquista una bicicletta - che neppure la guerra poteva constringerlo a rubare qualcosa - ed inizia a pedalare verso casa.



PS. Google mi dice che se vuoi fartela a piedi da Dresda a Casciana Terme ci sono un po' piu' di 1000 km. Il nonno li fece in due mesi. In bicicletta. Attraversando le Alpi ed almeno un fronte nemico. E tutto cio' che possa essere successo in quel viaggio rimane un segreto che quel signore alto, magro e silenzioso si e' portato via con se'.
Mio nonno si chiamava Nello Puccioni, ha fatto la guerra, ed e' tornato a casa.




1 commento:

Unknown ha detto...

Che storia incredibile.
Peccato, peccato davvero che tuo nonno non abbia raccontato il suo viaggio di ritorno.Anche mio nonno paterno è stato in Libia durante la guerra, non ne parlava spesso però, era troppo doloroso.
Erano tempi duri. Per chi la guerra l'aveva vissuta in prima persona parlarne risultava difficile quindi è giusto che almeno noi ne serbiamo il ricordo, anche solo per quel poco che sappiamo.
Il mio nonno materno invece era partito per Addis Abeba, guidava un camion sulla cui fiancata aveva fatto scrivere a caratteri cubitali il nome di mia nonna. Che uomo romantico.
Pochi mesi dopo s'è trovato un'altra donna e se l'è pure sposata.
A presto Eli!

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